Si può dire che negli Stati a prevalente sistema liberista vi sia stato, nel tempo, un sempre più penetrante intervento dello Stato nell’economia a partire dal secolo XIX sino ad oggi.
Si incomincia con un primo periodo nel quale lo Stato ha come funzione preminente la protezione dei cittadini rispetto alle possibili aggressioni estere e rispetto all’ordine pubblico interno (Stato-carabiniere); come equivalente economico, vi è in questo periodo la protezione delle industrie e dei prodotti nazionali mediante dazi doganali sull’importazione di prodotti esteri, mediante il controllo dei cambi ed altri mezzi tradizionali di salvaguardia delle industrie interne. In occasioni di condizioni storiche di notevole perturbamento (guerre, ricostruzione post-bellica, ecc.), lo Stato interviene applicando i prezzi politici.
In un secondo periodo è preminente, sotto l’influsso di critiche pervenute da varie parti al sistema liberista puro, l’assunzione da parte dello Stato e degli Enti pubblici minori di servizi precedentemente gestiti da privati (ad esempio, poste e ferrovie per lo Stato, trasporti pubblici per gli Enti minori). Tale assunzione di attività ha come fondamento la necessità di assicurare razionali servizi alla popolazione anche in quelle aree nelle quali l’iniziativa privata non svolgerebbe alcun servizio non ottenendone nessun utile (ad esempio, in località disagiate e con scarsissimo numero di utenti).
L’intervento dello Stato e degli Enti minori ha un carattere particolare dal punto di vista giuridico. Dal momento che l’attività degli Enti pubblici è soggetta, per legge, ad una lunga serie di controlli preventivi e successivi, di legittimità e di merito mentre l’attività economica ha bisogno di decisioni rapide, lo Stato e gli Enti minori esercitano tale attività mediante aziende speciali; di esse lo Stato e gli altri Enti pubblici controllano i bilanci di previsione e consuntivi, eliminando il controllo atto per atto che sarebbe necessario se l’attività economica fosse esercitata direttamente dagli organi burocratici.
Il terzo periodo trova il suo inizio a cavallo tra le due guerre mondiali e la sua massima espansione nell’attuale periodo storico. Alla politica di protezione delle industrie interne mediante la loro difesa dalla concorrenza estera, nonché l’elargizione di agevolazioni fiscali e di premi, subentra la politica dell’azionariato di Stato. È un dato di fatto che molte industrie di interesse nazionale, in occasioni di crisi economiche internazionali (specie nel caso di riconversione dell’industria di guerra a quella di pace), erano soggette a « crack » finanziari dannosi all’economia nazionale nel suo complesso. Di qui, l’intervento dello Stato nella nuova forma accennata. Lo Stato acquista la maggioranza del pacchetto azionario delle società industriali determinandone a livello politico ed economico l’attività. Ovviamente, gli utili di tali industrie sono impiegati per fini dettati dagli organi legislativi a conclusione della discussione annuale sul bilancio del Ministero interessato (attualmente, in Italia, il Ministero delle Partecipazioni Statali).
E veniamo a quegli interventi dello Stato che costituiscono la politica anticiclica. Il Keynes suggerisce le misure ritenute idonee con le sue note teorie del moltiplicatore e dell’acceleratore che esporremo in sintesi. Tale autore ha notato che, in proporzione, le classi meno abbienti sono quelle che hanno la più alta propensione al consumo; e ciò perché esse sono costrette a spendere quasi tutto il loro reddito in beni di consumo. Al contrario, chi dispone di un reddito superiore al proprio fabbisogno indipendentemente dall’indole risparmiatrice o meno e da più o meno alti saggi di interesse ha una maggiore propensione al risparmio. Poiché ad un aumento del reddito nazionale corrisponderà un aumento di risparmio, bisognerà far sì che questo si trasformi tutto in investimento, per evitare crisi di sovra-risparmio e di sotto-investimento.
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