Crollano i fondi flessibili: il 90% sono in rosso
I Fondi flessibili sono stati sicuramente negli ultimi anni in Italia la categoria di fondi italiani che ha riscosso il maggior successo in termini di nuovi fondi offerti e di raccolta di sottoscrizioni.
Ma da qualche mese anche i fondi flessibili appaiono in rosso: i riscatti battono le nuove sottoscrizioni, per 690 milioni di euro in giugno, per un totale di 8.498 milioni persi da inizio d’anno.
Ma il segnale che più fa rallentare la richiesta da parte degli investitori è che i risultati gestionali sono pesantemente negativi.
È vero che le piazze azionarie stanno perdendo ovunque negli ultimi 12 mesi, pure nei mercati emergenti oltre che a Wall Street, Milano, Londra o Tokyo. Ma la premessa per il forte lancio commerciale di questa famiglia di fondi senza benchmark, era proprio quella di fornire ai gestori la libertà totale nel determinare il peso di azioni, obbligazioni e cash. In complesso, le performance dei flesssibili sono molto deludenti: dei 100 fondi con almeno un anno di anzianità a metà luglio 2008, soltanto dodici hanno il segno più. Con cinque che hanno dato meno dell’1% e solo due, Servizi Sgr-Carismi Pratico con 9,19% e Vegagest Sgr Spa-Flessibile con 8,04% che hanno pienamente superato il Bot a un anno emesso nel luglio 2007 (4,38% lordo).
La media della categoria ha perso il 9,08%, e degli 88 gestori negativi in 47 hanno perso meno della media e in 41 hanno perso di più, fino a un massimo del -35,48% realizato da GestiRe Alarico Re. Ben 14 fondi precedono Alarico ma con una performance inferiore al 20%.
Un problema per la credibilità del sistema dei fondi è che le banche e le reti di promotori, nell’ultimo quinquennio, si sono buttate tutte su questa categoria per le sue due caratteristiche. La prima è che consente ai promotori e gestori di incassare commissioni piuttosto ricche. La seconda è che i flessibili non danno ai clienti la possibilità di confrontare le performance con parametri di mercato: chi ha un fondo azionario sulla Borsa italiana, può invece giudicare se il gestore ha fatto bene o male osservando l’andamento dell’indice di Borsa rispetto a quello del fondo. Il risultato di mercato è che la categoria dei flessibili occupa il secondo posto nella classifica del patrimonio gestito, con il 12,2% di quota nel sistema dietro al 18% dei fondi di liquidità. Di fatto è la famiglia leader, essendo i fondi cash più un parcheggio che un investimento. Esiste anche un’altra categoria di fondi senza benchmark, gli obbligazionari flessibili, in cui la flessibilità è limitata al megacomparto dei bond. Questi fondi pesano per il 4,1% del sistema e hanno dato un rendimento medio nell’ultimo anno pari al -0,43%, con il migliore a +2,62% (Ubi Pramerica Total return Bond cedola) e il peggiore a -7,24% (Consultinvest High Yield).
Non si sono salvati neppure quei fondi, i bilanciati, creati per un pubblico a metà strada tra il rischio e la prudenza e affidati a gestori con autonomia limitata. Anzi, sono andati peggio: dei 26 fondi con almeno un anno di vita tutti hanno avuto performance negativa. La media è stata del -14,63%, con 15 che hanno fatto meglio (Azimut il migliore con -9,42%) e 11 peggio (Consultinvest Bilanciato, l’ultimo, con -18,97%). In questi prodotti, chi investe si affida alla discrezione dei gestori nel determinare quanti bond e quante azioni devono esserci nel portafoglio e rispondendo quindi ad un benchmark anch’esso misto, parte azionario parte obbligazionario.
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