Debito pubblico italiano oltre 130% del Pil

Pubblicato da: MatteoT - il: 22-07-2013 18:10 Aggiornato il: 22-07-2013 15:20

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Continua a crescere il rapporto tra il debito pubblico italiano ed il Pil del nostro Paese. Nel primo trimestre dell’anno in corso, secondo l’Eurostat, ossia l’istituto di statistica dell’Unione Europea, questo rapporto ha superato la soglia del 130%, toccando quota 130,3% contro il 127% dell’ultimo trimestre del 2012 ed il 123,8% del primo trimestre del 2012.

In termini assoluti, il debito pubblico italiano nei primi tre mesi del 2013 è stato di 2.034.763 miliardi. All’ammontare totale ha contribuito fra l’altro la quota di versamento nell’ambito dei piani di assistenza finanziaria per i Paesi sotto programma, pari secondo Eurostat al 2,4% del Pil. I contributi pesano per il 2,1% nella media della zona euro e per l’1,6% nell’Unione.

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Questa non certamente invidiabile classifica dei Paesi più indebitati è guidata, in Europa, dalla Grecia con un rapporto deficit/Pil del 160,5%. L’Italia, e qui sta la sorpresa, si colloca proprio alle spalle di Atene, davanti a Portogallo (127,6%) ed Irlanda (125,1%). I livelli più bassi di indebitamento, invece, si registrano in Estonia (10%), Bularia (18%) e Lussemburgo (22,4%).

Nel complesso della zona euro, prosegue la crescita del debito pubblico in rapporto al Pil dell’area. Alla fine del primo trimestre dell’anno il rapporto tra i due indicatori è salito al 92,2%, dal 90,6% segnalato alla fine del 2012 per i Paesi della moneta unica. Nella Ue a 27, invece, il debito/Pil alla fine di marzo ammontava all’85,9% in crescita rispetto a fine dicembre (85,2%). Rispetto al primo trimestre dello scorso anno il rapporto debito/Pil è cresciuto sia nell’Eurozona (88,2%) che nella Ue (83,3%).

Nel raffronto con il quarto trimestre 2012, spiega Eurostat, 21 Paesi membri hanno registrato un incremento del debito e solamente sei sono riusciti a diminuirne l’incidenza sul Prodotto lordo. La crescita maggiore è stata quella dell’Irlanda (+7,7%), mentre i più virtuosi sono stati i lettoni (-1,5%).

L’ultima annotazione al riguardo è stata fatta dalla Consob, l’Autorità dei mercati finanziari, nel suo recente Outlook: secondo le simulazioni dell’Authority guidata da Giuseppe Vegas, “l’Italia dovrebbe conseguire avanzi primari mediamente pari al 4,6% del Pil in uno scenario base caratterizzato da una crescita annua del Prodotto dello 0,7% e da un tasso di interesse reale al 2,8%”.

Ma la necessità salirebbe al 6% del Pil in “uno scenario negativo con tasso di interesse superiore di 100 punti base” e si attesterebbe al 3,4% in uno scenario positivo con una crescita annua pari all’1,7%. In sintesi, “a fronte di un avanzo primario che nel decennio scorso si è attestato mediamente attorno al 2% circa, la correzione del surplus necessaria per adempiere al Fiscal Compact oscillerebbe, dunque, tra l’1,5% e il 4% del Pil” secondo la Consob.

Questi dati gettano ulteriore benzina sul fuoco del Governo Letta che si appresta a passare un’estate torrida sul fronte dei temi e delle risposte che dovranno essere garantite. Vedasi debito pubblico, ma anche aumento dell’Iva e dell’Imu.

Nonostante un tecnico del Tesoro dichiari che “l’Italia ha il migliore avanzo primario d’Europa” (ovvero la differenza positiva tra le entrate dello Stato e spese al netto degli 80 miliardi di interessi sul debito), i mercati e gli investitori attendono una crescita che non arriva, anzi. Bankitalia ha stimato una contrazione del PIL per il 2013 che sfiora il 2%.

Veri piani operativi ancora non sono stati messi sul tavolo, ma sono tante le proposte di abbattimento straordinario del debito pubblico che sono state avanzate. Fabrizio Saccomanni dovrà valutarle attentamente. Al momento al vaglio l’ipotesi di privatizzare Enel, Eni e Finmeccanica.

Una delle possibili soluzioni a cui Saccomanni sta lavorando è l’accelerazione delle privatizzazioni, comprese quelle immobiliare. Il Ministro del Tesoro italiano sta valutando anche l’eventualità di ridurre “la nostra partecipazione nelle compagnie controllate dallo stato. Enel, Eni e Finmeccanica sono compagnie profittevoli, che danno dividendi al Tesoro e così dobbiamo considerare anche la possibilità di usarle come collaterali per la riduzione del debito”.

L’idea di vendere quote pubbliche di dette aziende rientra nel Financial stability fund ed è condivisa dal presidente della Consob, Giuseppe Vegas, e da Mediobanca. Ma le polemiche non mancano. I sindacati e Beppe Grillo sono assolutamente contrari a questa “strategia suicida” come l’ha definita Luigi Angeletti della UIL, che ha aggiunto: “Vendere i gioielli di famiglia piuttosto che ridurre gli sprechi è una di quelle scorciatoie che ci porta nello strapiombo“.

Anche il leader della CISL Raffaele Bonanni ha dichiarato tutta la sua contrarietà ad una tale operazione perché “già da anni nel mirino degli appetiti famelici e speculativi degli investitori stranieri”. Vale la pena privatizzare Enel, Eni e Finmeccanica invece di ridurre gli sprechi? L’analisi di Bonanni è condivisibile: “Il Governo ed il Ministro Saccomanni dovrebbero non escludere di tagliare drasticamente le tasse a lavoratori e ai pensionati, di inasprire le pene per gli evasori, di vendere il patrimonio del demanio pubblico o le aziende municipalizzate, di ridurre i costi esorbitanti della politica e delle istituzioni centrali e locali e con essi gli sprechi, le inefficienze e le ruberie scandalose”.

E Bonanni ha poi aggiunto: “Se c’è bisogno di fare cassa si vendano gli F35 o si riducano le missioni militari all’estero, piuttosto che mettere sul mercato quei pochi asset industriali e strategici del nostro paese come Eni, Enel, Finmeccanica o Poste, tutte aziende che vanno invece rafforzate sul piano degli investimenti, aprendo la governance ai fondi pensioni dei lavoratori per dare anche più stabilità finanziaria a queste aziende. Bisogna vendere tutto quello è superfluo non ciò che porta al nostro paese ancora ricchezza e prestigio internazionale“.

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