Bce rinvia aumento costo denaro e tassi interesse

Pubblicato da: Redazione E-investimenti.com - il: 15-09-2007 10:41

La Bce ha rinviato l’aumento del costo del denaro. Tuttavia l’orientamento di politica monetaria rimane al rialzo. Come può la Bce puntare ancora a un aumento dei tassi di interesse, mentre la Fed potrebbe tagliarli? «Innanzitutto ricordiamo che i tassi negli Stati Uniti sono al 5,25% mentre da noi sono al 4%. L’andamento futuro dei tassi dipenderà dall’impatto delle recenti turbolenze sugli andamenti di fondo dell’economia. Di sicuro, se lo scenario di fondo dell’economia non cambia e se le recenti turbolenze avranno effetti solo marginali, le condizioni monetarie rimangono alquanto accomodanti».

Nei giorni scorsi pareva che i mercati si stabilizzassero, invece la volatilità è di nuovo aumentata.  Gli interventi della Bce contribuiscono a stabilizzare i mercati. Tuttavia, la normalizzazione dei prezzi in corso non significa un ritorno alla situazione precedente all’emergere della crisi. Perché prima c’era una sottovalutazione dei rischi da parte degli operatori. Ci vorrà un po’ di tempo prima che gli operatori siano in grado di valutare il riapprezzamento dei rischi nei loro bilanci e la dimensione delle perdite riportate. Alla pubblicazione dei dati trimestrali, nelle prossime settimane, avremo qualche informazione in più.

I segmenti di mercato che ancora non si stabilizzano sono soprattutto quelli dei commercial papers e degli asset backed securities. E mentre una parte del mercato sta riprendendo lentamente, parte del mercato interbancario a più lunga scadenza ancora non funziona adeguatamente, e ci sono ancora delle scosse.

Taluni sostengono che la crisi si sta allargando ad altri settori creditizi – e che la crisi di liquidità si possa trasformare in una crisi di insolvenza. «Per evitare effetti a catena, deve cominciare a tornare la fiducia tra gli operatori finanziari. Questo richiede innanzitutto trasparenza nel rivelare pubblicamente le eventuali perdite. Da lì si capirà l’entità e la concentrazione del problema. E in che misura potrà avere un impatto sul flusso dei crediti al settore produttivo e all’economia reale. In generale la situazione delle imprese europee è sana. L’afflusso di credito è stato abbondante nei mesi passati e un eventuale rallentamento di questo flusso, se temporaneo, non dovrebbe avere ripercussioni eccessive sulle decisioni di investimento.

Sembrerà strano ma le nostre previsioni non sono molto diverse da quelle di tre mesi fa, anche se l’incertezza è aumentata, e ci sono rischi al ribasso dell’economia. La crescita degli Stati Uniti è stata lievemente rivista al ribasso, ma non ci sono scenari drammatici. E’ ancora troppo presto per valutare l’effetto degli eventi recenti. Troppe volte in passato si è errato, da una parte o dall’altra. Per esempio, dopo la crisi della borsa dell’ottobre 1987 e quella del debito russo del 98 le previsioni di recessione furono poi smentite. Dopo lo scoppio della bolla tecnologica, invece, a fine 2000, mentre molti si aspettavano un rallentamento temporaneo vi è stata una lunga fase di stagnazione.

Pe rquanto riguarda l’Italia bisogna vedere se ci sarà un rallentamento del credito nelle banche italiane. Da parte di Bankitalia emerge però che le banche italiane non sono molto colpite. Ma se si verifica un rallentamento in Europa, l’Italia non può essere esclusa.

Prima dell’intervento della bce dell’ 8 agosto con 94 miliardi gli operatori non si prestavano più la liquidità a breve termine necessaria per il sistema dei pagamenti, per il regolamento dei titoli e così via. E il mercato monetario è la base, il cuore del mercato finanziario. Quando si manifestano dei problemi di questo tipo, per la Bce non ci sono alternative. Bisogna intervenire urgentemente, prestando danaro alle banche, con ritorno il giorno successivo (o a tre mesi), in cambio di collaterale, a tassi di mercato. Se non fossimo intervenuti tempestivamente, sarebbe venuto meno tutto il sistema. E siamo pronti a rifarlo, se necessario, come abbiamo fatto di nuovo ieri».

C’è l’impressione che questa volta la Bce sia intervenuta con grande chiarezza, con grossi volumi, e che abbia un ruolo maggiore di quello della Fed nella stabilizzazione dei mercati. «Interventi di questa entità per far funzionare i mercati finanziari non hanno precedenti, e hanno mostrato l’efficienza della Bce. Il Sistema delle banche centrali europee fa sì che le operazioni, grazie alla struttura decentrata, facciano affluire molta più liquidità a un gran numero di banche nel momento del bisogno. Inoltre la Bce ha avuto un effetto più capillare nel mercato monetario europeo, anche perché apre per primo. E gran parte dei problemi erano legati ai mercati in dollari, ma sono stati risolti in Europa, prima che agissero gli Usa».

Ma nonostante gli interventi, i tassi di interesse a tre mesi sono ancora molto alti… «La Bce non si può sostituire al mercato. Il nostro compito è ristabilire la circolazione della liquidità. Che c’è, ma non circola. E sono le banche che si devono assumere la responsabilità per far funzionare il mercato. Rispetto alle crisi precedenti, attualmente le banche hanno molta liquidità, ma non la prestano, perché non hanno fiducia».

E’ questo l’elemento che contraddistingue questa crisi rispetto ad altre? «La novità di queste turbolenze è che si è creata una crisi di fiducia verso i titoli strutturati e complessi. E poi una crisi di fiducia tra gli operatori bancari perché non è chiaro chi delle controparti ha dei problemi. La fiducia è essenziale per il funzionamento del mercato finanziario, ed è ciò che distingue questo mercato dagli altri. Quando viene a mancare la fiducia non c’è mercato. Quindi l’intervento della Bce si giustifica per ristabilirla».

La Bce ha sempre sostenuto la necessità di ridurre la pressione fiscale. Questo vale anche per l’Italia? «E’ giusto ridurre la pressione fiscale, soprattutto quando è a livelli così altri come in Italia. Tuttavia bisogna chiedersi come mai in Italia, da 10 anni, si cerca di ridurre le tasse, ma non ci riesce. Se si vuole farlo in modo credibile bisogna indicare chiaramente quali sono gli elementi di spesa da tagliare, per finanziare i tagli delle imposte. Altrimenti il taglio fiscale viene vanificato, perché cresce il disavanzo e quindi anche il debito pubblico. Per l’Italia non è vero che la riduzione delle tasse obbliga lo Stato a tagliare la spesa».

Può fare qualche esempio? «In dieci anni, la Germania ha ridotto la spesa pubblica primaria (al netto degli interessi) del 3% rispetto al pil, scendendo sotto il livello di quella italiana. E non mi sembra che lo stato sociale sia peggiore di quello italiano. Nel frattempo, la spesa primaria è aumentata in Italia del 4% rispetto al pil».

Quindi si possono ridurre le tasse e la spesa facendo quadrare anche i conti pubblici? «L’impegno prioritario resta il risanamento. Perché l’Italia è impegnata a ridurre il disavanzo pubblico dello 0,5% del pil annuo. Se vuole ridurre anche le tasse, deve tagliare la spesa».

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