Sul piano storico, manifestazioni di processi inflazionistici si ebbero già nell’antichità, ai tempi dell’imperatore romano Diocleziano. Tendenze inflazionistiche scoppiarono in Europa nei secoli XVI e XVII e in seguito, connesse con il ciclo economico, fino alla seconda guerra mondiale. I dati degli ultimi anni mostrano nei Paesi sviluppati una ascesa del livello dei prezzi, culminata negli anni Settanta con lo scoppio di processi d’inflazione diffusi e di notevole entità, anche per effetto di fattori di carattere internazionale, come la crisi petrolifera e l’aumento dei prezzi delle materie prime.
Secondo la teoria quantitativa della moneta, che prima della seconda guerra mondiale ha dominato la letteratura sull’inflazione (teoria che era compendiata nell’equazione dello scambio o formula di FiSHER PQ=MV), un aumento della quantità della moneta avrebbe provocato necessariamente un aumento del livello dei prezzi, che si faceva dipendere unicamente da fattori monetari.
Negli anni Trenta la validità di questa teoria fu criticata da Keynes, secondo il quale l’offerta di moneta può influenzare ,la produzione e l’occupazione. L’inflazione veniva spiegata come un fenomeno connesso ad un eccesso di domanda globale: se la domanda di beni risulta essere maggiore del prodotto nazionale vi sarà un incremento dei prezzi (si pensi ad un aumento di C + 1 + G, formula che già conosciamo dal cap. 10, e si veda il grafico successivo).
Se i lavoratori reagiscono per difendere il valore reale del loro reddito, ottenendo un aumento dei salari, questo si scaricherà sui costi di produzione e quindi sui prezzi, innescando una spirale inflazionistica « prezzi-salari-prezzi ».
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Occorre quindi distinbguere tra due casi principali e cioè l’inflazione da domanda e l’inflazione da costi.
a)L’inflazione da domanda
Nel modello di inflazione da eccesso di domamnda si verifica in sostanza uno squilibrio fra la domanda monetaria globale che risulta eccessiva rispetto all’offerta di beni e servizi, determinando un << vuoto >> nel sistema economico che viene colmato dall’aumento dei prezzi. Nel ricercare qual è l’origine dell’eccesso di domanda, i monetaristi e molti economisti neokeynesiani si sono trovati d’accordo in larga misura. KALDOR, per esempio, attribuisce la responsabiltà delle tensioni inflazionistiche recenti in molti Paesi ai governi che sono riusciti a controbilanciare l’aumento della spesa pubblica con imposte più elevate. FRIEDMAN parla dell’inflazione come di un’imposta nascosta perché viene istituita senza una legge specifica.
Tuttavia anche nelle ipotesi di inflazione da eccesso di domanda si ritiene che debba essere preso in considerazione il ruolo delle aspettative sui prezzi nella determinazione dell’effettivo tasso di inflazione. Inoltre, si deve considerare come parte integrante di ogni teoria completa dell’inflazione la dimensione internazionale del problema, in base alla quale i processi inflazionistici tendono a trasmettersi da un Paese all’altro, specie in regime di cambi fissi. Finché la moneta-base fu metallica (gold standard) le occasioni di inflazione furono meno frequenti di oggi, in quanto la moneta aurea o d’argento non è creabile a piacimento. Oggi è più facile per i governi immettere in circolazione moneta cartacea e ciò può generare fatalmente processi inflazionistici.
Inoltre le politiche economiche keynesiane di stimolo della domanda globale, sebbene non siano più in auge come uno o due decenni fa, non sono state completamente abbandonate per esigenze politiche e sociali. La pubblica amministrazione domanda sempre più essa stessa, da un lato, e dall’altro concede mediante i molti canali e rivoli della spesa pubblica di domandare di più alle famiglie e ai vari gruppi privati.
In regime di moneta cartacea, l’inflazione da domanda viene quindi ad essere agevolata e solo un severo controllo monetario può renderla leggera e discontinua. È un’inflazione che rimane tuttavia sempre minacciosa, pronta a scoppiare non appena i freni monetari si allentano o circostanze eccezionali si verificano nell’economia.
In sintesi, il tipo di inflazione di cui abbiamo parlato (inflazione da domanda) si differenzia da quello « classico » (risultante da un aumento della massa monetaria) perché nel processo inflazionistico il primo motore non è la politica monetaria; il primo motore è un eccesso della domanda globale considerata nelle sue tre componenti: consumi, investimenti, spesa pubblica.
b)L’inflazione da costi
Nelle teorie che inentificano la causa dell’inflazione nella spinta dei costi, l’aumento dei prezzi viene spiegato in connessione con un aumento dei costi dei fattori produttivi e in particolare dei salari. In questo caso l’essenza del fenomeno inflazionistico è extra-monetaria, perché riflette il conflitto fra imprenditori e lavoratori per accaparrarsi quote di reddito.
Nella sua forma più estrema, questo modello suppone che sia nel mercato del lavoro, sia in tutti i mercati dei prodotti, i prezzi siano fissati senza alcun riferimento all’effettivo stato della domanda. Si suppone che i prezzi dei beni siano determinati da un meccanismo di mark-up (le imprese calcolano i costi per unità di prodotto sulla base dei salari e del costo delle materie prime, e aggiungono a questo costo una percentuale fissa che rappresenta il margine di profitto), mentre i salari sono determinati dalla contrattazione dei sindacati. In questa situazione un aumento salariale (o un aumento del costo delle materie prime) si tramuta immediatamente in un aumento dei prezzi.
È stato tuttavia rilevato che « l’inflazione da costi fa aumentare la domanda di liquidità, per cui se anche viene messa in moto dalla lotta tra salari e profitti, può tuttavia perdurare solo se le autorità monetarie sono disposte a finanziarla, lasciando crescere indefinitivamente la circolazione monetaria in modo da consentire le compravendite a livelli di prezzi sempre più elevati ».
In ogni momento le autorità monetarie sono in grado di fermare l’inflazione con drastici tagli della quantità di moneta in circolazione. Ma l’attività economica verrebbe praticamente « strozzata » insieme all’inflazione che si vuole combattere, per cui si può dire che il rimedio si rivelerebbe, per le sue conseguenze indesiderate, peggiore del male. Al contrario l’inflazione, fino ad un certo grado, finisce per agire da « tranquillante sociale » smorzando i contrasti fra gruppi e categorie economiche.
A questo punto si inserisce la proposta riformatrice di M. FRIEDMAN di una politica monetaria basata per così dire su una regola fissa e preannunciata: per esempio, un aumento della moneta in circolazione obbligatoriamente nella misura massima del 4% annuo (che corrisponde all’incirca al tasso di crescita del reddito nazionale di un’economia fiorente). In questo modo coloro che sono intenzionati a rincarare ciò che vendono saprebbero in anticipo che la misura di politica monetaria non potrà consentire aumenti di prezzi oltre certi limiti. Verrebbero in sostanza scoraggiate le aspettative inflazionistiche che spesso soffiano sulla stessa inflazione alimentandola.
Dobbiamo però osservare che una politica monetaria rigorosa, come quella proposta da Friedman e dai monetaristi, incontra sul piano politico l’opposizione dei sindacati e di altre forze sociali, pertanto non sussistono in molti paesi, fra cui l’Italia, le condizioni politiche per attuarla.
Il prezzo del petrolio e l’inflazione importata
Oltre all’inflazione da costi determinata da un aumento dei salari superiore a quello della produttività del lavoro, un altro caso è quello dovuto all’aumento di altri costi di produzione come i prezzi del petrolio (pricipale fonte di energia in quasi tutte economie industrializzate) e delle materie prime importate. Se i paesi produttori di petrolio e di materie prime sono in grado di controllare i mercati di questi prodotti costituendo delle coalizioni o << cartelli >> (come l’OPEC, l’organizzazione che raggruppa i principali paesi esportatori di petrolio) essi saranno in grado di manopolizzare l’offerta e quindi di fissare prezzi piu’ alti per massimizzare i ricavi. A partire dal 1973 l’aumento rapido e notevole del prezzo del petrolio ha provocato nei paesi industrializzati un’impennata dei costi di produzione e del costo della vita, determinando la cosiddetta inflazione petrolifera o importata, in quanto dovuta a cause esogene (cioè esterne ai singoli paesi).La conseguenza è stata una crescita dei prezzi dei beni all’ingrosso e dei beni di consumo.
E’ stata come se ogni paese industrializzato, come lItlia, fosse stata imposta all’improvviso una tassa da pagare ad un altro paese (esportatore di petrolio o di materie prime) e difatti si è parlato di « tassa petrolifera ».
Si innesta così una spirale inflazionistica pericolosa: salgono i prezzi dei prodotti manufatti (come reazione all’aumento del prezzo del petrolio), sale il costo della vita, ma crescono anche i salari facendo aumentare il costo del lavoro per unità di prodotto e così via.
‘ La curva di Phillips: inflazione e disoccupazione
In tempi recenti, l’economista neozelandese Phillips ha presentato uno studio empirico del mercato del lavoro in Gran Bretagna in cui dimostrava l’esistenza di una relazione stabile fra variazione dei salari e disoccupazione.
Nella cosiddetta << curva di Phillips >> dunque un saggio di disoccupazione piu’ basso implica un saggio di inflazione piu’ alto e viceversa, per cui << vi è una scelta per la società fra una ragionevole piena occupazione ma prezzi crescenti, o ragionevoli prezzi stabili con una certa disoccupazione. Ed è un difficile dilemma sociale decidere a quale compromesso aderire >> (Samuelson).
I dati statistici proposti da Phillips hanno confermato l’ipotesi per certe economie e per certi periodi storici. Ma dati successivi, e in particolare i processi inflazionistici di nuova natura che si sono verificati nelle economie dei paesi industrializzati nel corso degli anni Settanta, si sono mostrati in contrasto con la « curva di Phillips ».
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